La terza mano

MC Escher (revised)La teoria della mente estesa propone che i livelli cognitivi si organizzino su una integrazione tra cervello e ambiente, mediata direttamente e attivamente dall’esperienza dell’interfaccia: il corpo. Sebbene tutto il corpo possa essere mediatore, le due “porte seriali” principali sono l’occhio e la mano. Nei primati (e soprattutto nel genere umano il mondo entra nel cervello soprattutto attraverso l’occhio, e il cervello interagisce col mondo soprattutto attraverso la mano. Interessante notare che la nostra specie si caratterizza a livello di geometria cerebrale proprio per un aumento delle aree parietali profonde, particolarmente dedicate all’integrazione visuo-spaziale, alla gestione del sistema occhio-mano, e all’integrazione di tutto questo con la memoria e con le funzioni esecutive delle aree frontali. Ebbene, ai neandertaliani e ai loro predecessori il sistema occhio-mano non bastava, e integravano con un elemento ulteriore: la bocca. Lo sappiamo dalle strie che questo tipo di attività ha lasciato sui loro denti. In queste forme umane l’utilizzo dei denti come supporto alla prassi era attività comune. Nei cacciatori-raccoglitori moderni questo comportamento è presente, ma molto meno frequente. Insieme a Marina Lozano dell’Istituto Catalano di Paleoecologia Umana e Evoluzione Sociale (IPHES) proponiamo una interpretazione di questa evidenza paleoantropologica alla luce delle ipotesi sulla mente estesa, pubblicata e discussa in un forum del Journal of Anthropological Sciences. Considerando il corpo come interfaccia per estendere la mente, considerando che i neandertaliani non presentano le stesse variazioni delle aree parietali descritte per la nostra specie, considerando che il sistema occhio-mano è il centro dello scambio, e che la bocca è un organo sensibile, delicato, e importante per altre funzioni, ci possiamo porre la domanda di quanto questo comportamento sia libera decisione e quanto soluzione rimediaticcia a livello evolutivo. Quello che proponiamo è un “mismatch” tra substrato biologico e substrato culturale, ovvero tra il sistema neurale dei neandertaliani e quello comportamentale. Sappiamo che l’evoluzione biologica e quella culturale non sempre vanno di pari passo, e le autocatalisi possono generare disarmonie e battimenti nei processi. Potremmo quindi interpretare la necessità di utilizzare i denti per la manipolazione (scelta rischiosa e estrema) come una insufficienza del sistema neurale e sensoriale di integrazione visuo-spaziale e di gestione del sistema occhio-mano in qualità di interfaccia. Ovvero, una cultura che accelera eccessivamente e che non si integra bene con il sistema di relazione dell’interfaccia-corpo, a livello centrale (cervello) o a livello periferico (integrazione sensoriale). Attenzione, che non siamo di fronte a un classico dell’evoluzione progressiva fatta di passi intermedi. Una dissociazione tra cultura e biologia nelle popolazioni neandertaliane non deve interpretarsi come fase di passaggio verso l’uomo moderno, ma come una circostanza vincolata e puntuale che, non possiamo far finta di non saperlo, sembrerebbe associata a un binario alternativo e decisamente estinto del genere umano.

L’articolo è stato commentato in un forum da diversi autori. Lambros Malafouris sottolinea che tutto il corpo è interfaccia, e magari non dobbiamo dare troppa importanza al sistema occhio-mano. Ognuno sceglie le sue forme e i suoi modi di relazionarsi fisicamente con l’ambiente. Marco Langbroek va oltre, proponendo polemicamente che addirittura forse siamo noi che lo facciamo male, avendo un sistema sensoriale e cognitivo ancorato e limitato da necessità visuali. Magari i Neandertaliani dominavano il loro mondo senza aver bisogno di fare segnacci sulle pareti delle grotte, ed erano talmente abili da poter incrementare la loro interfaccia corporea con i denti senza sfondarsi la bocca. Thomas Wynn è scettico, non crede che l’evidenza paleontologica possa realmente indagare i processi visuo-spaziali, che inoltre secondo lui si sono evoluti ben prima della separazione tra umani moderni e neandertaliani. Fred Coolidge coincide nel dare importanza alle aree parietali, ma vede l’integrazione visuo-spaziale come conseguenza secondaria rispetto a funzioni più centrali quali le capacità numeriche e la coscienza autonoetica. Manuel Martín-Loeches aggiunge un fattore importante a questa nostra ipotesi: il sistema corticospinale e il controllo motorio.

Sarà interessante studiare quelle popolazioni arcaiche di Homo sapiens che condividevano con i Neandertaliani l’industria musteriana, le differenze anatomiche di dettaglio nella gestione della mano, o le differenze funzionali e culturali nell’uso dei denti come integrazione alla prassi nelle popolazioni attuali di cacciatori raccoglitori. Certo, come sempre le teorie in archeologia cognitiva non si possono verificare più di tanto. Ma se si integrano evidenze incrociate (come in questo caso tra paleoneurologia, antropologia dentale, archeologia, e scienze cognitive) si possono proporre nuove direzioni. E in questo caso c’è comunque una possibilità di verifica almeno parziale: cercare in queste forme estinte altre evidenze delle loro capacità di integrazione visuo-spaziale, e delle loro possibilità di estendere la mente.

E Bruner

~ di Emiliano Bruner su giugno 4, 2014.

6 Risposte to “La terza mano”

  1. Grazie mille per gli spunti, che ho trovato molto interessanti ( come sempre del resto!). Ora corro a leggere il forum su JaSs. Io sono da sempre convinta in una gestione “mentale” molto diversa dei metodi di scheggiatura tra H. sapiens e Neandertal, e credo che questi tentativi di unire diverse discipline possano potenzialmente aiutarci a capire meglio questi meccanismi. Solo un warning: non ci sono industrie “musteriane” associate a sapiens arcaici. Essendo industrie africane, meglio dire MSA (se serve biblio posso mandartela!).

  2. Beh, però sono state da sempre comparate con l’industria musteriana, per affinità … Sto pensando a Skhul e Qafzeh, ma forse anche addirittura a Jebel Irhoud …
    Tu mandami bibliografia, che questa ipotesi adesso la presenteremo in un paio di congressi, e sto raccogliendo materiale da integrare! Già ho del materiale nuovo su denti e su mano, articoli che devono necessariamente essere inclusi nel dibattito …
    È probabile che le considerazioni più interessanti verranno dall’ecologia, l’uso del territorio, la relazione col territorio attraverso la cultura materiale, credo che questa possa essere una strada utile per vagliare alcuni comportamenti visuo-spaziali nelle specie estinte …

  3. C’è tutto un dibattito su come chiamare l’industria “Paleolitico medio” fuori dall’Europa. Quasi tutti sono d’accordo nel darle un altro nome (tranne qualche irriducibile gallo 😛 ). Ti mando bibliografia!Comunque molto interessante, seguirò gli sviluppi!

  4. Però nel caso del Levante? Lì in teoria ci sono moderni e neandertaliani … quindi non se ne può fare una ragione geografica … che distinzione si fa in quel caso?

  5. In quel caso credo stiano chiamando tutto “musteriano”. Ma laggiù la situazione è piuttosto confusa :/

  6. […] capire se un uso estremo della bocca per la manipolazione di oggetti possa essere evidenza di una scarsa capacità di integrazione visuospaziale, e di limiti nell’integrazione cognitiva tra corpo e artefatto. Lo studio descrive differenze […]

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