The Pretender

The Scars of the BattleLa sindrome di Asperger ad oggi viene interpretata come una variante dell’autismo, in particolare un autismo senza ritardo cognitivo. Definizioni a parte, ci sono ben poche certezze nei processi coinvolti e nell’interpretazione delle loro conseguenze. L’autismo stesso rappresenta solamente una definizione operativa necessaria a raggruppare situazioni molto differenti e poco chiare, che probabilmente non sono il risultato degli stessi fattori e delle stesse dinamiche. Si mette tutto in una stessa cesta per ragioni pragmatiche in nome di alcuni apparenti minimi comun denominatori, ma si sa che è un rischio classificare in funzione dei risultati e non dei processi, attualmente ancora ignoti. La sindrome di Asperger, nelle sue molteplici varietà e diversi gradi di espressione, si associa sopratutto a una disconnessione tra regole interne e regole esterne. La persona non comprende gli altri, le loro azioni, le loro relazioni, le loro aspettative. La conseguenza è un isolamento estremo, una chiusura in se stessi aggravata dalla consapevolezza di non sapere e di non poter interagire correttamente, consapevolezza che si trasforma in rinuncia. Alle difficoltà cognitive si aggiunge quindi uno stato di devastante repressione sociale e comportamentale, che alla fine genera un cocktail difficilmente gestibile di fattori psicologici e neurologici. Non si conoscono le cause che producono il substrato organico e le conseguenze cognitive, ma i numeri sono in aumento. Si esclude che questo si debba a un miglioramento diagnostico, e si sospetta che l’incremento dell’autismo possa essere associato alla maggior diffusione di stimoli scatenanti (come quelli visivi, che nell’era dell’immagine caratterizzano sempre di più la nostra cultura percettiva). L’autistico cosciente della propria condizione ha solo una possibilità di migliorare la sua situazione: simulare un comportamento normale, accettato e riconosciuto dagli standard sociali. Temple Grandin, esempio illuminante di Oliver Sacks nel suo “Un Antropologo su Marte“, ottiene un successo sociale e professionale simulando, al momento di interagire con gli altri, quel mondo incompreso e quelle regole per lei insensate che la società ha stabilito essere la norma. Poi però i problemi li risolve “a modo suo“, e di qui il successo. E’ frequente che i genitori vedano diagnosticata a loro stessi la sindrome di Asperger quando portano i figli a un centro specializzato per un controllo richiesto dal pediatra. Quanti sono quelli che simulano? Quanti quelli che forse nemmeno sanno di simulare? La sindrome di Asperger in teoria non è una patologia: che si sappia non danneggia nessun organo, nessuna funzione vitale, non lesiona tessuti, non crea danni metabolici o biochimici. Allora non è una malattia, ma una forma differente di vedere il mondo. Chi controlla il suo autismo non solo si mimetizza, ma a volte ne sfrutta alcuni frequenti vantaggi: elevati quozienti intellettivi, capacità sensoriali superiori alla media, capacità mnemoniche e sintetiche a volte eccezionali. Alcune imprese private stanno iniziando a valutare l’integrazione specifica di persone con sindrome di Asperger per determinati scopi tecnici, soprattutto in ambito informatico. Per chi lavora con questi “pazienti” a livello neurologico, psicologico, o pedagogico,  la notizia rappresenta un eccellente passo in avanti verso l’integrazione della loro diversità. Ma allo stesso tempo un’ottica di antropologia sociale può mettere all’erta sui possibili rischi di un mero sfruttamento della diversità, alla ricerca dell’impiegato modello che lavora come un robot e senza mai lamentarsi. L’autismo è un fenomeno eccezionale, una possibile finestra su un mondo differente di regole che non conosciamo e che nemmeno immaginiamo. Rappresenta allo stesso tempo una seria responsabilità sociale e una enorme opportunità scientifica. Viviamo in un momento dove per lo meno cominciamo a essere disposti ad accettare e a capire la diversità. Ma non abbiamo ancora la minima idea sul come farlo.

E Bruner

~ di Emiliano Bruner su luglio 18, 2014.

5 Risposte to “The Pretender”

  1. Dovremmo chiederci che cosa significhi in questo caso il termine “simulazione”. Nel dibattito sulla teoria della mente, simulazione significa costruire uno scenario del tipo “che cosa penserei se fossi io ad agire, invece che l´altro?”. Cioé, quando tu vedi l´altro agire, giustifichi il senso della sua azione usando te stesso (ed il tuo contenuto mentale) come modello.

    Per quanto riguarda il contenuto del post, bisognerebbe capire bene che cosa significhi “simulare” nel caso delle persone autistiche. Se per simulazione si intende ció che ho scritto sopra, allora temo che le persone autistiche non possano davvero simulare. Se al contrario le persone autistiche costruiscono una teoria di come la gente si dovrebbe comportare al livello sociale e poi assumono comportamenti conformi alla teoria, allora si puó avere l´effetto di “mimesi sociale”, ma non si puó parlare di simulazione.

  2. No in questo caso il termine “simulazione” è usato nella sua accezione più generale. Almeno in teoria, la sindrome di Asperger si associa a una incapacità di capire le aspettative dell’altro, di mettersi nei suoi panni, di interpretare le regole altrui, di empatizzare. Dico in teoria perchè appunto ci sono troppe incognite per dare certezze, incognite sia sull’autismo sia sulla cosiddetta “teoria della mente”. Allora “simulare” in questo caso vuol dire solamente “vedere come si fa e fare lo stesso”.

    E’ interessante che il termine “simulazione” possa avere differenti significati … Può essere la riproduzione di un processo o solo del suo risultato. In questo caso è la seconda. Si può arrivare a tenere consapevolezza delle regole senza arrivare a capirne ragioni e struttura, per poi seguirle alla lettera senza però averle capite. Il camaleonte prende i colori dell’albero, ma non sa il come e probabilmente nemmeno il perchè. Peró sa che funziona.

  3. […] essere emarginato dalla società, e visto come un inetto, un folle. L’autistico con sindrome di Asperger non ha altra scelta che simulare, per poter sopravvivere. Qualcuno soffre la distanza, e cerca di […]

  4. […] ma fingerne un’altra (studiando le regole della normalità per poi simularle, come un antropologo su Marte) o di essere quel che sei e cercare di approfittare di quelle tue capacità individuali, […]

  5. […] ma fingerne un’altra (studiando le regole della normalità per poi simularle, come un antropologo su Marte) o di essere quel che sei e cercare di approfittare di quelle tue capacità individuali, […]

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